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Obbligazioni contrattuali: costituzione in mora del debitore ex art. 1219 c.c.

Pubblicato da : Avv. Giorgio Vanacore


Spunti minimi in tema costituzione in mora del debitore ex art. 1219 c.c. in materia di obbligazioni contrattuali: obbligo o onere?

Poco dibattuto è, in dottrina e giurisprudenza, in materia di obbligazioni contrattuali, il tema della necessità o meno, per il creditore, della costituzione in mora del debitore attuata nelle forme dell'art. 1219 c.c..

Particolare rilevanza ha il quesito in tutte le ipotesi – che possono verificarsi nella pratica – in cui il creditore non faccia precedere all'instaurazione di una lite un'attività, debitamente coltivata, di diffida e messa in mora dell'obbligato.

Quindi, laddove non esista una prescrizione normativa (tra tutte, il notissimo art. 22, legge 24 dicembre 1969 n. 990 - «Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti»), si può discutere se un atto di costituzione in mora del debitore assurga, per il creditore, ad obbligo o a mero onere.

Ordunque, dall'interpretazione del sistema normativo delle obbligazioni contrattuali sembrerebbe discendere l'obbligo, a parte creditoris , di un rituale e tempestivo atto scritto di costituzione in mora e diffida.

A riprova di ciò si è utilizzato il seguente argomento: nel settore delle obligationes ex contractu , non opera, de iure condito , il principio della cd. «automaticità della mora debitoris », vale a dire la non necessità di una intimazione o richiesta fatta per iscritto. Come è noto, l'art. 1219, comma 2, n. 1, c.c., limita la detta automaticità alle sole obbligazioni extracontrattuali (in tal senso, vedansi Cass. 19 dicembre 1948 n. 2621, id. , 18 agosto 1966 n. 2247, Coll. arb. 30 ottobre 1990; in dottrina, Ravazzoni , Mora del debitore , in Enc. Giur. Treccani , vol. XX, Roma 1990, 2).

Quindi, sul piano dello stretto diritto sostanziale, l'art. 1219, comma 1, c.c., configura la costituzione in mora nell'illecito contrattuale quale «atto dovuto» per il creditore, concretantesi in una intimazione o richiesta fatte «per iscritto».

È noto, poi, che la dottrina qualifichi comunemente la costituzione in mora come atto giuridico in senso stretto, appartenente alla categoria degli atti recettizi di richiesta (tra tutti, Bianca , Diritto civile , La responsabilità , vol. V, Milano, 1994, 88 e ss.).

E, si badi, si richiede che l'atto di costituzione, pur non esigendo formule solenni, manifesti per iscritto l'inequivoca pretesa del creditore all'adempimento in capo al debitore, non ammettendo, così, equipollenti. Tutto ciò per assicurare, al contempo, la serietà della richiesta creditoria ed il favor per il debitore che, presa puntuale conoscenza della obbligazione, dovrà attivarsi per l'adempimento ( Bianca , op. ult. cit. , 88, 94).

Fermo quanto appena detto, altri indici atti a fondare l'obbligatorietà di un atto scritto extragiudiziale di messa in mora, possono reperirsi nel generale cd. «principio di buona fede» – e nei suoi corollari – immanente al sistema delle obbligazioni (artt. 1175, 1337, 1358, 1366, 1375 e 1460 c.c.), che si vuole «posto a fondamento di un principio generale dei rapporti interprivati, la cui portata armonizza e ad un tempo trascende gli ambiti delle specifiche norme di legge, mentre le si riconosce quella elasticità e duttilità, propria delle clausole generali, che ne arricchisce le potenzialità applicative» (in tal senso, espressamente, Bessone - D'Angelo, Buona fede, Enc. Giur. Treccani, vol. V, Roma, 1988, 4).

Ancora, dell'obbligatorietà di un atto di messa in mora sarebbe luogo a parlarsi avendo altresì riguardo alla prassi degli affari, e ciò specie se si verta in materia di rapporti obbligatori tra imprenditori.

Non occorrono parole per dimostrare che nei rapporti tra questi ultimi, l'azione giudiziaria di recupero del credito è sempre preceduta da un atto di diffida e costituzione in mora, ragion per cui, pur senza volersi addentrare nell'esame degl'istituti delle «pratiche negoziali d'affari» – afferenti alla categoria degli usi negoziali et similia , art. 1340 c.c. –, più di un motivo si scorge nella fondatezza della tesi che, nelle vertenze obbligatorie, vuole assurga ad obbligo, e non a mero onere, la rituale, attuata per iscritto, diffida e messa in mora del debitore


Convenzione tra assicuratori per il risarcimento diretto (CARD) e art. 13 d.p.r. 254/2006 nell’ambito della concorrenza europea

Pubblicato da : Avv. Fabio Quadri


DALL'ART. 13 DEL D.P.R. 254/2006 ALLA C.A.R.D. (CONVENZIONE TRA ASSICURATORI PER IL RISARCIMENTO DIRETTO)

•  ll Governo Italiano ha emanato in data 18 luglio 2006 il D.P.R. 254/2006, con cui sono state stabilite le norme di regolamentazione del sistema di risarcimento diretto in ambito Responsabilità Civile Automobilistica. In sostanza, il D.P.R. 254/2006 da attuazione agli artt. 149 e 150 del D. Lgs 7 settembre 2005, n.209 con il quale lo Stato Italiano ha introdotto per legge una procedura obbligatoria di risarcimento diretto dei danni da incidente stradale da parte non delle imprese assicuratrici dei civili responsabili ma, bensì, da parte della impresa assicuratrice del danneggiato medesimo.

L' art. 13 del D.P.R. 254/2006 così sancisce :

“1. Le imprese di assicurazione stipulano fra loro una convenzione ai fini della regolazione dei rapporti organizzativi ed economici per la gestione del risarcimento diretto.

2. Per la regolazione contabile dei rapporti economici, la convenzione deve prevedere una stanza di compensazione dei risarcimenti effettuati. Per i danni a cose le compensazioni avvengono sulla base di costi medi che possono essere differenziati per macroaree territorialmente omogenee in numero non superiore a tre. Per i danni alla persona, le compensazioni possono avvenire anche sulla base di meccanismi che prevedano l'applicazione di franchigie a carico dell'impresa che ha risarcito il danno, secondo le regole definite dalla convenzione.

3. L 'attività della stanza di compensazione deve svolgersi in regime di completa autonomia rispetto alle imprese di assicurazione ed ai loro organismi associativi.

4. I valori dei costi medi e delle eventuali franchigie di cui al comma 2 vengono calcolati annualmente sulla base dei risarcimenti effettivamente corrisposti nell'esercizio precedente per i sinistri rientranti nell'ambito di applicazione del sistema di risarcimento diretto. Per il calcolo annuale dei valori da assumere ai fini delle compensazioni, sulla base dei dati forniti dalla stanza di compensazione di cui al comma 2, è istituito presso il Ministero dello sviluppo economico un Comitato tecnico composto dai seguenti componenti:

a) un rappresentante del Ministero dello sviluppo economico, con funzioni di Presidente;

b) un rappresentante dell'ISVAP;

c) un rappresentante dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici;

d) un esperto in scienze statistiche ed attuariali;

e) due rappresentanti del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti. L'esperto di cui alla lettera d) non deve avere svolto, nei due anni precedenti la nomina, incarichi presso imprese di assicurazione.

5. Per il primo anno di applicazione del sistema di risarcimento diretto, il Comitato tecnico calcola i valori di cui al comma 4 sulla base di statistiche di mercato.

6. I componenti il Comitato sono nominati con decreto del Ministro dello sviluppo economico per la durata di un triennio e possono essere riconfermati una sola volta. Il Comitato delibera a maggioranza e, in caso di parità, prevale il voto del Presidente.

7. Il costo relativo al funzionamento della convenzione è posto a carico delle imprese che aderiscono al sistema di risarcimento diretto.

8. Le imprese con sede legale in altri Stati membri dell'Unione europea che operano nel territorio della Repubblica, ai sensi degli articoli 23 e 24 del codice, hanno facoltà di aderire al sistema di risarcimento diretto mediante sottoscrizione della convenzione di cui al comma 1.

9. Non costituiscono prestazioni di servizi ai fini dell'imposta sul valore aggiunto le regolazioni dei rapporti tra imprese nell'ambito della procedura di risarcimento diretto.

10. Le informazioni, acquisite nell'ambito dei rapporti organizzativi ed economici per la gestione del risarcimento diretto, possono essere utilizzati, esclusivamente, per le finalità della stessa stanza di compensazione.”

In sostanza, in virtù di quanto previsto dalla legge, la compagnia assicuratrice del danneggiato, risarcisce quest'ultimo per i danni subiti. Quindi, poiché la stessa compagnia ha liquidato un danno per conto di chi spetta (ovvero della compagnia del civile responsabile) deve recuperare quanto corrisposto. In realtà, però, la compagnia che ha provveduto al pagamento diretto del danno, non recupera esattamente la stessa somma corrisposta al danneggiato, ma un importo “prefissato” in base a costi medi e coi meccanismi stabiliti da una convenzione. L'art. 13 prevede, quindi, che le compagnie assicuratrici italiane stipulino tra loro, obbligatoriamente , una convenzione. Le imprese assicuratrici con sede legale in altri stati membri dell'Unione Europea che operano nel territorio della Repubblica Italiana hanno la facoltà d'aderire alla convenzione. Sempre l'art. 13, che non lascia libertà di scelta alle compagnie assicuratrici italiane, obbliga le medesime a sostenere i costi della convenzione stessa.

•  L'A.N.I.A., associazione che raggruppa la totalità delle imprese assicuratrici italiane, in applicazione all'art. 13 del citato D.P.R. 254/2006 ha emanato la C.A.R.D. (Convenzione tra Assicuratori per il Risarcimento Diretto ), ovvero una convenzione tra imprese assicuratrici con lo scopo di regolamentare i rapporti tra tutte le compagnie assicuratrici in attuazione al sopra citato sistema risarcitorio;

L'art. 2 della C.A.R.D. prevede: “… L'adesione è obbligatoria per tutte le imprese con sede legale in Italia e per quelle che, operando in regime di libertà di stabilimento o di prestazione di servizi abbiano deciso di aderire al sistema di risarcimento diretto”.

Fra gli obblighi per le imprese assicuratrici aderenti alla CARD (oltre quello di sostenerne il costo) vi sono:

-quello di attivare tutti collegamenti e i flussi informatici necessari a comunicare con le altre imprese, con ANIA e con l'ente gestore della stanza di compensazione (art.2);

-l'accettazione incondizionata dei supporti operativi e delle attività di gestione e di controllo svolte dall'ente gestore (art. 2 in relazione all'art.8);

-costituzione di una fideiussione bancaria biennale, da rinnovarsi alla scadenza, di importo pari all'1% dell'ammontare dei premi lordi, ma comunque non inferiore ad Euro 300.000,00 (art.6);

•  In data 25 gennaio 2007, in ottemperanza all'art. 13, punti 2 e 4, del D.P.R. 254/2006, è stata emanata la tabella nazionale riportante i costi medi dei sinistri, in base ai quali devono avvenire le compensazioni fra quanto liquidato dalle imprese assicuratrici e quanto alle stesse spettante dalla stanza di compensazione

IL RAPPORTO CON GLI ARTT. 81 1 E 82 2 TRATTATO CE

Abbiamo detto che l'art. 13 del DPR 254/2006 prevede che le compagnie assicuratrici italiane stipulino tra loro, obbligatoriamente, una convenzione. Le imprese assicuratrici con sede legale in altri stati membri dell'Unione Europea che operano nel territorio della Repubblica Italiana hanno la facoltà d'aderire alla convenzione. Sempre l'art. 13, che non lascia libertà di scelta alle compagnie assicuratrici italiane, obbliga le medesime a sostenere i costi della convenzione stessa

E' evidente la disparità di trattamento sia fra imprese italiane e comunitarie che fra cittadini consumatori a seguito dell'applicazione di tale norma Infatti, mentre le imprese italiane sono obbligate ad aderire al sistema di risarcimento diretto e, quindi, a sottoscrivere la convenzione (la C.A.R.D. appunto) sostenendone i costi, le altre imprese comunitarie potranno esercitare in Italia senza sottostare a tali vincoli economici e burocratici. Anche i consumatori che vorranno assicurarsi presso le imprese assicuratrici italiane dovranno sottostare alle regole penalizzanti del risarcimento diretto 3 che, rammentiamo, non prevede neppure il risarcimento delle spese legali sostenute (art. 9 DPR 254/2006), a tutela dei propri diritti in violazione altresì della direttiva 2004/80/CE del 29.04.2004, art. 3. E' altrettanto palese, quindi, come tale sistema imponga alle compagnie comunitarie che volessero esercitare il ramo R.C.A. in Italia di sottostare ad obblighi (quali la comunicazione obbligatoria di dati informativi sui costi medi, la sottoscrizione di una fidejussione e l'accettazione dei parametri e delle metodologie della C.A.R.D.) che nel proprio paese di origine, così come in nessun paese europeo, non siano in vigore, creando così di fatto una barriera all'accesso del commercio. E sembra indiscutibile il fatto che imporre ex lege l'adesione ad una convenzione restrittiva a tutte le compagnie italiane pregiudichi il commercio tra Stati membri , perché ostacola l'attività economica transfrontaliera. Infatti, come pacificamente affermato dalla Corte di Giustizia, intese o pratiche che riguardano tutto il territorio di uno Stato membro sono di rilevanza comunitaria, poiché un intero Stato membro costituisce parte sostanziale del mercato comune 4

L'art. 13, oltretutto, limita la concorrenza poiché di fatto imporrà alle imprese italiane (obbligatoriamente) ed alle compagnie straniere aderenti (facoltativamente) di stabilire tariffe assicurative non in virtù della legge della domanda e dell'offerta ma, bensì, in virtù di costi medi standardizzati sul costo dei sinistri sostenuto dalla totalità delle imprese aderenti , così come previsto al punto 4 del medesimo articolo 13. Vi è altresì da tener presente come per alcune imprese italiane aderenti alla C.A.R.D. i sinistri potrebbero rivelarsi “un affare” dal punto di vista del conto economico. Infatti, poiché con il sistema della compensazione stabilito dall'art. 13, ogni impresa riceverà dalla stanza di compensazione un importo a sinistro stabilito ex ante, le compagnie assicuratrici avranno interesse ad assicurare solo veicoli di bassa cilindrata ed aventi costi di manutenzione ridotti. In questo modo, liquidando importi inferiori ai costi medi standardizzati, percepiranno dalla stanza di compensazione somme superiori “al liquidato”, trasformando, così, una voce del passivo (quale dovrebbe essere il sinistro) in un attivo 5. In tal modo, però, si disincentiverà la stipula di contratti assicurativi con veicoli di grossa cilindrata o comunque di valore medio alto poiché i costi di manutenzione, in caso di sinistro di questi ultimi mezzi, sarebbe mediamente superiore a quanto la compagnia assicuratrice con in portafoglio polizze per tali veicoli andrebbe a percepire dalla stanza di compensazione.

Inoltre, poiché nel comitato tecnico che deve stabilire i costi medi di compensazione vi sono anche rappresentanti delle medesime imprese assicuratrici , queste saranno a conoscenza dei costi medi sostenute dalle compagnie assicuratrici concorrenti (se ancora si può parlare di concorrenza) e su questi, anziché sul mercato, potranno calcolare le proprie tariffe.

La conoscenza a priori del costo medio di riferimento implica, infatti: a ) la certezza circa la componente di costo per l'anno successivo determinante la tariffa, ovvero il costo medio sinistri dei concorrenti sul mercato. Avendo certezza del costo medio delle imprese concorrenti, le stesse potrebbero collusivamente utilizzare lo stesso costo medio, determinato ex ante forfait, per determinare a propria volta il premio puro di tariffa nonché la frequenza sulla base della quale lo stesso costo medio viene determinato. In questo caso l'effetto sarebbe più che restrittivo della concorrenza; b ) possibili comportamenti anomali dell'impresa “mandataria” (ovvero dell'impresa che deve liquidare il danno), finalizzati a gestire sinistri solo all'interno dei parametri stabiliti a priori, al fine di non subire perdite economiche.

Il principio da cui non si può prescindere è che la concorrenza spinge i prezzi verso il basso grazie all'incertezza in cui devono operare le imprese. La legge dovrebbe bloccare (e non favorire, come avviene con la norma in contestazione) ogni azione che elimina o riduce l'incertezza. La giurisprudenza ha affermato che " la diffusione generalizzata fra i principali operatori di uno scambio di informazioni precise e a cadenze ravvicinate " è in grado di " alterare sensibilmente la concorrenza in essere fra gli operatori economici. In tale ipotesi, infatti, la messa a disposizione regolare e frequente delle informazioni concernenti il funzionamento del mercato ha l'effetto di rivelare periodicamente, a tutti i concorrenti, le posizioni sul mercato e le strategie dei vari concorrenti ". Per tale motivo, un siffatto scambio di informazioni è contrario alle regole di concorrenza, in quanto, " considerata la sua periodicità e il suo carattere sistematico, rende ancor più prevedibile, per un determinato operatore, il comportamento dei suoi concorrenti, riducendo o annullando del tutto il grado di incertezza sul funzionamento del mercato che, in assenza di tale scambio di informazioni, sarebbe esistito " ( Cfr. Tribunale di Primo Grado CE, Causa T-34/92 -Fiatagri U.K. Ltd. and New Holland Ford Ltd / Commissione “Trattori agricoli”-, sent. del 27 ottobre 1994, in Racc., 1994, p.905, al punto 91). Alla luce di tale giurisprudenza, lo scambio di informazioni sistematico e periodico, fornisce gli elementi affinché ogni impresa possa ragionevolmente prevedere il comportamento dei suoi concorrenti, creando un'artificiosa trasparenza nel mercato (In tal senso la Commissione ha considerato restrittivo uno scambio di listini prezzi sulla base del fatto che le imprese “nello stabilire i nuovi prezzi vengono influenzati dai prezzi dei prodotti dei loro concorrenti, cosicché le modifiche dei prezzi non avvengono interamente sulla base delle mutate condizioni del mercato e il livello dei prezzi può risultare diverso da quello che sarebbe stato in assenza di tale sistema di informazione sui prezzi”. Decisione della Commissione CE del 13 luglio 1983 (Vimpoltu), in G.U.C.E. L 200, 23 luglio 1983, p. 44, al punto 138) . In questo senso la fattispecie in esame presenta tutte le caratteristiche attribuite dalla giurisprudenza comunitaria ad uno scambio di informazioni restrittivo della concorrenza

A complicare la situazione si deve tener presente che in Italia i primi quattro gruppi assicurativi detengono circa il 70% del mercato danni . Quindi, in questo sistema di compensazioni a costi medi, in realtà quattro gruppi assicurativi stabiliranno le tariffe di tutte le altre compagnie assicuratrici italiane .

Anche l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato italiana, con propria decisione del 01/02/2006, a commento della proposta di regolamento poi sfociata nel D.P.R. 254/2006, così si esprimeva: “ …la previsione di un'organizzazione stabile ed articolata, quale quella del consorzio, ove normalmente le imprese esprimono anche loro rappresentanti nei vari organi gestionali (come appunto si è verificato), individua una sede nella quale è facile condividere ed assumere decisioni comuni, le quali possono orientare e finanche vincolare le imprese consorziate su aspetti non strettamente necessari al funzionamento del risarcimento diretto….L'adozione di un sistema di conguagli basato sui costi medi delle singole imprese implica la conoscenza reciproca tra le imprese di una variabile concorrenziale rilevante, quale è il costo dei sinistri, conducendo ad un'artificiale trasparenza del mercato idonea a ridurre l'incertezza che deve caratterizzare la competizione tra operatori.

Si deve, quindi, rammentare che la Corte di Giustizia ha chiarito che gli Stati membri non possono emanare –pena l'illegittimità della norma emanata- leggi o regolamenti che consentano alle imprese di porre in essere comportamenti vietati dagli artt. 81 e 82 del trattato CE (Corte di giustizia, 13.02.1969, n. 14/68; 1°.07.1980 cause riunite 253/78, 1/79, 2/79, 3/79).

Da ultimo non si può non tener presente che la normativa sopra richiamata, hanno introdotto un sistema unico in Europa , andando in contrasto con quanto previsto dalle legislazione di tutti gli altri paesi aderenti alla Comunità Europea ed allontanando, di fatto, l'Italia dal principio di armonizzazione legislativa. Non possiamo non ricordare che la direttiva 200/26/CE del Consiglio, del 14 maggio 1990, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, ha previsto che “ sia necessario ravvicinare tali legislazioni allo scopo di contribuire al buon funzionamento del mercato interno” .


Note:

1 Articolo 81 “ 1. Sono incompatibili con il mercato comune e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato comune ed in particolare quelli consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione, b) limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti, c) ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento, d) applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza, e) subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi. 2. Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto. 3. Tuttavia, le disposizioni del paragrafo 1 possono essere dichiarate inapplicabili: - a qualsiasi accordo o categoria di accordi fra imprese, - a qualsiasi decisione o categoria di decisioni di associazioni di imprese, e- a qualsiasi pratica concordata o categoria di pratiche concordate che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne deriva, ed evitando di: a) imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi, b) dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi”.

2 Articolo :”Se incompatibile con il mercato comune è vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo. Tali pratiche abusive possono consistere in particolare: a) nell'imporre direttamente od indirettamente prezzi d'acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque, b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori, c) nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza, d) nel subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi”

3 Consiglio di Stato, adunanza del 27 febbraio 2006, n.746/2006: Il testo, al riguardo, dispone che “ai fini dell'offerta di risarcimento del danno formulata dall'impresa non sono considerati danni accessori le spese sostenute dal danneggiato per consulenza o assistenza professionale diversa da quella medico legale” (art. 9, comma 3). Questa formulazione esclude quindi in modo espresso tutte le altre forme di assistenza professionale, incluse quelle riferite ad attività di consulenza legale, che il danneggiato abbia ritenuto di attivare in vista della procedura di risarcimento diretto. Si tratta indubbiamente di una consistente restrizione dell'area del danno risarcibile”

4 Comunicazione della Commissione-linee direttrici sulla nozione di pregiudizio al commercio tra Stati membri di cui agli artt. 81 e 82 del Trattato in GUUE n.C 101 del 27.4.2004, p.81,

5 Se, ad esempio, per la Provincia di Milano è stato stabilito che le compagnie riceveranno dalla stanza di compensazione Euro 2.000,00 per ogni sinistri, le società assicuratrici avranno interesse a liquidare danni sempre e solo inferiori a tale somma. Infatti, la differenza data fra Euro 2.000,00 percepito dalla stanza di compensaizone e quanto liquidato realmente corrisponderà ad un utile economico.




Verso il testo unico sulla salute e la sicurezza sul lavoro

Pubblicato da : Dott. Matteo Belli

Data: 26/08/2007
In Italia gli infortuni e gli incidenti sul lavoro sono purtroppo sempre più spesso oggetto di cronaca nera. Risulta evidente la necessità di un’inversione di rotta, sia sotto il profilo dei controlli e dell’applicazione della normativa vigente, che in termini di riforma ed aggiornamento dei precetti in tema di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. Con la Legge 3 agosto 2007 n. 123 il Parlamento ha introdotto alcune novità in materia di sicurezza e di contrasto al lavoro irregolare, operative dal 25 agosto 2007, ed ha indicato al Governo le linee guida da seguire per operare un riassetto organico della normativa vigente. I principi cardine che le Camere hanno individuato per il futuro corpus normativo hanno senz’altro portata innovativa e tendono ad estendere le massime tutele a tutte le categorie di lavoratori, anche autonomi, pur offrendo una disciplina speciale alle attività lavorative caratterizzate da rischi peculiari.

Tra le novità introdotte spicca senz’altro il severo regime sanzionatorio, che, nei casi più gravi di inadempimento ai precetti in tema di sicurezza, assoggetta il responsabile a sanzioni penali con massimi edittali particolarmente elevati: 3 anni di reclusione e 100.000 euro di ammenda.

Va senz’altro dato rilievo alla possibilità offerta alle associazioni sindacali e alle associazioni dei famigliari di esercitare i diritti e le facoltà attribuiti alla persona offesa ex art. 91 e 92 c.p.p., con riferimento ai reati commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni o che abbiano determinato malattia professionale.

Ampio risalto, infine, viene dato alla diffusione delle informazioni in tema di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, in modo da garantire una piena consapevolezza da parte dei lavoratori, indispensabile per rendere effettive le misure adottate.




Legge fallimentare: estensione del fallimento di societa’ di capitali a societa’ di persone

Pubblicato da : Dott. Sauro Renzi

Data: 18/08/2007

L' Art. 147 del Regio Decreto 16 marzo 1942, n.267 ( in Gazz. Uff., 6 aprile, n.81. suppl ) come noto disciplina l'istituto del fallimento dei soci illimitatamente responsabili delle società costituite, ex Art. 131 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n.5, secondo uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del Codice Civile, ovvero Società in Nome Collettivo, in accomandita semplice e per azioni.

La procedura di fallimento investe storicamente i plures mercatore unam mercantiam gerentes sia nella fase della dichiarazione di fallimento della società, sia successivamente, qualora a norma del quarto comma del medesimo articolo risulti l'esistenza di altri soci illimitatamente responsabili.

A prima vista, dunque, non par dubbio che per le società di capitali la qualifica di imprenditore compete soltanto alla società e solo essa può essere dichiarata fallita.

Nella quotidiana realtà, spesso però, vengono costituite società di capitali senza che ci si curi di rispettare le “regole del giuoco”, con l'unico scopo di giovarsi del beneficio della responsabilità limitata attraverso lo schermo della “ persona giuridica “ per l'esercizio di un'impresa collettiva.

Si dà vita così ad una commistione di affari per l'esercizio di una o più attività, attraverso società di capitali e di persone riconducibili agli stessi soci, altresì provvedendo alle esigenze delle diverse entità con risorse di volta in volta reperite ora nell'uno, ora nell'altro soggetto coinvolto dall'interesse comune: la persona giuridica, la società di persone o la persona fisica.

A tal proposito si sono accesi vivaci dibattuti ed orientamenti dottrinali e giurisprudenziali tesi a configurare la figura dell'imprenditore cui imputare l'attività di impresa svolta dalla società o dalle società e dalle persone fisiche per individuarne la responsabilità per debiti delineando a volte l'esistenza di una struttura di fatto sovraordinata o collaterale a quella della società di capitali per la ricerca di elementi che permettano l'esercizio effettivo della tutela prevista dall'art.2740 c.c. agganciato sistematicamente all'art. 147 L .F., in ipotesi di abuso dello strumento della società di capitali e dunque di necessario coinvolgimento con tutto il suo patrimonio di chiunque abbia fatto debiti con lo schermo della personalità giuridica e dell'autonomia patrimoniale perfetta accordata dalla Legge alle società di capitali.

D'oltralpe,la giurisprudenza francese, peraltro, sin dalla metà degli anni 30, aveva affermato l'assoggettabilità a fallimento del maitre de l'affaire, sancendo per legge, nel 67,la responsabilità illimitata di chi disponesse di beni sociali come fossero beni propri.

Ma tale impostazione, della responsabilità illimitata e della fallibilità del cd. “socio tiranno “, seppure suffragata da autorevole dottrina e sostenuta da una parte della giurisprudenza di merito, non ha avuto medesima fortuna nel ns. paese.

I Giudici della ns. Suprema Corte di Cassazione, infatti, hanno per lungo tempo inquadrato le diverse vicende sottoposte al loro vaglio non già sul piano della responsabilità per debiti, ma su quello della responsabilità per danni sia verso la società che verso i creditori sociali ex art. 2392,2394,2476 c.c..

D'altronde,l'ipotesi di un solo soggetto giuridico, intendendo una sola, vera società in luogo di due apparenti significa necessariamente ritenere la simulazione di queste ultime,in contrasto con il principio, più volte affermato dalla Suprema Corte, secondo cui non è configurabile la simulazione di una società di capitali iscritta nel registro delle imprese ( Cass. Civ., sez.I,17 novembre 1992,n.12302; Cass. Civ., sez.I, 14 maggio 1992, n. 5735).

L'orientamento consolidato e largamente maggioritario, della giurisprudenza, pertanto, ha dichiarato inammissibile la partecipazione di una società di capitali ad una società di persone (regolare o di fatto), in tal senso Cass. Sez. Unite, 17 ottobre 1988 n. 5636, talché l'evoluzione giurisprudenziale ha portato alla configurazione di un rapporto di collateralità fra società.

Si è sostenuto nelle more di questa evoluzione, tra le altre, Cass. Civ. sez.I, 10 agosto 1990, n.8154, che “ l'iscrizione di cui all'art.2330 c.c. e la perfetta autonomia patrimoniale che vi inerisce comportano l'esclusiva imputabilità alla società degli atti compiuti e dell'attività svolta in suo nome e delle relative conseguenze patrimoniali passive”, anche dopo che è stata espressamente prevista l'assunzione, da parte di società per azioni, di partecipazioni in altre imprese con responsabilità illimitata per le obbligazioni delle stesse (art.2361, 2° comma .c.c. , come sostituito dall'art.1 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n.6).

Ma poiché in tema di rapporti fra società la valutazione del fatto deve essere correlata alla valutazione giuridica delle conseguenze che al fatto medesimo accedono,ovvero all'abuso dello strumento della società di capitali con l'inaccettabile immunità, giocoforza, derivante dalla semplice iscrizione nel registro delle imprese, si è considerata configurabile una holding o una impresa collaterale nell'ipotesi limite in cui l'impresa personale presenti elementi materiali di identità con l'impresa di capitali e dunque obiettiva attitudine a perseguire utili economici per il gruppo o per le sue componenti quale impresa a latere di controllo e di gestione come pure di finanziamento o operativa, tanto da giustificare l'estensione ai sensi dell'art. 147 L .F. 4° comma di guisa che si delinei un'attività economica soggetta alla procedura di fallimento, in tal senso Cass. Civ., 26 febbraio 1990, n. 1439 e, da ultimo, Cass. Civ., 13 marzo 2003, n. 3724.

In conclusione,quindi, quando, sussistono elementi quali:

•  la costituzione di ipoteche volontarie su immobili di proprietà del soggetto a latere, sia esso persona singola o gruppo di persone o altresì società, a garanzia di crediti vantati dal ceto creditorio nei confronti anche della società di capitali;

•  il pagamento di forniture fatte alla società di capitali per ingenti importi con assegni emessi tratti su conti correnti del soggetto a latere;

•  l'esistenza di rilevanti importi provenienti dal soggetto a latere utilizzati dalla società di capitali per pagare debiti propri o per incrementare la cassa contanti;

•  l'esistenza di pagamenti eseguiti dalla società di capitali a soddisfacimento di debiti del soggetto a latere;

•  la commistione tra i conti correnti bancari del soggetto a latere, della società di capitali e le operazioni contabili di quest'ultima;

ben può dirsi che l'attività economica da luogo a possibilità di responsabilità cumulative rendendo ammissibile che al fallimento della società di capitali acceda il fallimento del soggetto collaterale, in quanto anch'egli insolvente in proprio, per arginare fenomeni di abuso della personalità giuridica da parte di imprese sia individuali o collettive, regolari o di fatto, che agiscono raccordandosi ad una impresa di capitali tanto da poter essere qualificati plures mercatore unam mercantiam gerentes.